Lettera allo sport


Allenamento a Recetto

Caro sport,

ho deciso di scriverti come si fa con un amico, come se tu esistessi in carne e ossa.
Sto cercando nel cuore le parole giuste per trasmettere la mia stima, la mia gratitudine e tutto l’amore che provo per te.

Non è facile rivolgersi a un’entità così grande. Sei un dono a vantaggio degli umani perché possano dimostrare il proprio valore, il bene e le proprie qualità.
Come la musica, la poesia o l’arte, sei un’ancora di salvezza che permette a tutti noi di elevarci, esaltarci e lasciare qualcosa a chi poi verrà.

Ecco tu, caro sport, sei la dimostrazione che il bene c’è.
Come un bambino che ride, come una giornata di sole, come un abbraccio da chi mi vuole bene, sei la manifestazione più vera del fatto che l’uomo, se vuole, sa essere straordinario.
Ti conosco da tantissimo tempo, già poco dopo essere nato ho iniziato a nutrirmi di te: mi arrampicavo sugli alberi, per mano a qualche bambino inseguivo i nostri compagni, facevo gli scivoli e andavo sull’altalena.

Sì è deciso di darti dei nomi convenzionali come calcio, tennis, nuoto e così via per poter distinguere le tue innumerevoli forme. Come per darti dei confini indispensabili per non confondersi.
La verità, poi, è che tu di confini non ne hai perché sei presente in qualsiasi gesto di un umano che contempli la voglia di muoversi, di pensare interagendo con gli altri e, soprattutto, con se stesso.

Dopo averti conosciuto sotto forma di gioco ho voluto approfondire il nostro rapporto e ho iniziato a nuotare. In acqua mi sentivo più protetto e gli ostacoli non rappresentavano più una paura.
Poi mi sono spostato al karate e, a 9 anni, ho conosciuto lo sci da neve prima e quello nautico poi.

Non ti ho detto che sono cieco dalla nascita e una delle più profonde crisi che ebbi da piccolo fu perché non potevo giocare a pallone con i miei amici.
Da subito mi hai messo di fronte a ciò che sono: senza pregiudizi, senza impedirmi di conoscerti.
Infatti con i miei amici ho giocato spesso a pallone, tiravo le punizioni, i calci di rigore… Tutto ciò che si potesse battere da fermo era mio.

Quando questo tipo di forma che ti rappresenta non mi è più bastata, ho iniziato la mia avventura sugli sci.
Prima quello alpino, come ben sai chi non vede ha una guida che ti indica dove andare.
Questa dinamica mi ha insegnato il valore della fiducia.
Io che mi fido ciecamente di professione ho imparato quanto forte diventano i rapporti se c’è la fiducia ad alimentarli e lo sci da neve ne è la prova.

Qualche mese dopo, una mia amica mi ha presentato lo sci nautico che, ormai da 23 anni, rappresenta il modo più naturale tramite il quale riesco a mettermi in contatto con te e con me stesso.
Lo chiamano sport individuale ma ti dirò la verità: di individuale c’è solo il momento della competizione. Allenamenti, trasferte e raduni si fanno tutti insieme.

Infatti è proprio lì che ho imparato come smontare una carrozzina, è lì che ho toccato le prime protesi dentro ai jeans dei miei compagni negli spogliatoi e, sempre nelle nostre trasferte, ho imparato ad allacciare i bottoni anche a chi mi stava di fronte, più precisamente ai miei colleghi che hanno una sola mano o magari nemmeno quella!

Queste esperienze accanto ai miei compagni di squadra mi hanno insegnato che tu valuti la parte piena del bicchiere di ognuno di noi, quella parte che spesso ci dimentichiamo di avere ma che è lì, pronta a farsi scoprire nella sua grandezza.

Spesso le persone mi chiamavano per le mie mancanze e quando passavo, toccandosi il gomito l’un l’altro, si dicevano sotto voce: “Guarda, quello non ci vede”.
Tu questo non l’hai mai fatto! Me la ricordo la prima volta al lago: mi hai teso la mano come a dirmi: “Io sono qui e sono questo. Se vuoi frequentarmi per un po’ vediamo cosa possiamo fare insieme!”.
Così ho fatto e da allora non ci siamo più lasciati. Insieme abbiamo vinto 22 titoli mondiali e 20 europei. E il nostro rapporto di fratellanza non è ancora finito!

Quello che adoro di te è il saper prendere qualsiasi individuo senza giudicarlo, senza sparare sentenze a priori.
Tu fai posto a tutti tra le tue grandi braccia, con te ognuno ha il diritto di mettere in mostra i propri talenti e le proprie qualità, senza avere paura di ciò che non ha e che non è.
D’altronde sono le doti, i talenti, che fanno di un individuo una persona compiuta.

Anche un “difetto” così grande come la cecità, grazie a te, è stato completamente ridimensionato.
Tant’è che, adesso, i due che si toccavano il gomito parlando a bassa voce si dicono: “Guarda, quello è il campione del mondo di sci nautico!”.
Ecco perché ti sono così profondamente riconoscente: il percorso accanto a te mi ha regalato autostima, amici, conoscenza e capacità di rispettare le regole, dolori, gioie e tanta consapevolezza.
Quella consapevolezza che ti entra dentro e ti resta poi nei rapporti umani o nella professione.

Per me ci sei sempre stato, anche quando ho pensato di abbandonarti.
Senza rinfacci o presunzioni hai tenuto tesa la tua mano verso di me, lasciandomi la scelta di prenderla o meno con la mia.
Anche quando non era l’azione a caratterizzare il nostro rapporto ti sei fatto ascoltare e mi hai insegnato cose che ore di spiegazioni non avrebbero mai trasmesso.

Ti ho sentito nel suono della pallina da tennis colpita prima da uno e poi dall’altro giocatore. Quella di Sampras, Agassi e dei nostri Gaudenzi e Sanguinetti.
Ti ho sentito nei rimbalzi del pallone sul parquet o sul ferro nell’anno della stella di Varese e dell’Europeo azzurro.
Mi sei stato accanto con il rombo dei motori della grande Ferrari o della moto di Valentino, con i cori del 2006 e mi hai regalato un quarto di secolo di Francesco Totti che, per un romanista come me, sono stati oro!

Insomma, la mia vita è da sempre piena di te: rumori, emozioni, sudore, ricordi.
Di te mi sono sporcato le mani, con te mi sono sbucciato le ginocchia e grazie al tuo aiuto mi sono gustato fino in fondo la vita.
Tante delle cose che mi hai insegnato mi sono servite nello studio, nei rapporti e nella professione. Faccio il fisioterapista e ti ho vissuto anche a bordo campo, seduto su una panchina con la borsa medica in mano.

Adesso che ti ho conosciuto non ti lascio più e mi sento in dovere di presentarti ai bambini, ai ragazzi e a più persone possibili.
Sei una medicina sana, di quelle che non hanno effetti collaterali!
Mi hai reso ricco davvero, di una ricchezza che è alla portata sebbene, purtroppo, non tutti hanno avuto la mia stessa fortuna: quella di averti incontrato.

Per questo, caro sport, ti ringrazio e ti abbraccio con tutta la forza che ho. Sei proprio un amico, un fratello, un salvatore.
Ti amo con tutto il cuore.

Daniele.

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