Si chiama Noemi e…


Noemi

Quando Daniele mi ha chiesto di scrivere qualcosa, sono entrata un po’
nel panico, mi imbarazza molto parlare di me, anche se non si direbbe, e
scrivere qualcosa sul mio lavoro è molto intimo, una parte importantissima di
me.

Ma eccomi qui, come poter dire di no a Daniele? Lui distrugge record su
record, è un po’ la persona che vorrei diventassero i miei “bimbi” fra qualche
anno (ma solo un po’ perché altrimenti si monta la testa).

I “miei bimbi” ah si, siamo qui per questo, in effetti non mi sono ancora
presentata, mi chiamo Noemi e sono una terapista occupazionale.

Il mio lavoro purtroppo ancora non è molto conosciuto, io lo racchiudo
generalmente in tre parole:

libertà = partecipazione = autonomia.

Ecco io mi occupo di autonomie, lavoro presso il Centro Regionale S. Alessio
per i ciechi di Roma, principalmente nell’ambulatorio dell’età evolutiva.

Cerco di “aiutare” i bambini che arrivano al Centro a “partecipare”
attivamente alle varie attività di vita quotidiana.

Sembra cosi facile, vita quotidiana, è il nostro mondo, dovrebbe essere
quasi automatico svolgere le varie attività, ma non è sempre così.

Quando subentra un qualsiasi disturbo di tipo visivo, motorio, di
attenzione, cognitivo, emotivo o tutti assieme non è più così “automatico”
partecipare, svolgere anche la più semplice delle attività.

Il mio lavoro è un viaggio dentro ogni bambino, nel suo mondo, fra
terapie individuali, di gruppo, counseling con i genitori, con gli insegnanti,
valutazioni per ausili, ambiente scolastico, domiciliare, mi ritrovo
catapultata nella loro vita, in dinamiche così intime da diventare quasi una
“parente”.

Sono una “zia” un po’ “cattivella” o come dice qualche mio bambino “un
generale”, si in effetti, fisso sempre un obiettivo più alto di quello che si
potrebbe raggiungere, in fondo a scendere un gradino si fa sempre in tempo.

Quando inizio a seguire un bambino, la mia mente viaggia e già lo vedo
adolescente o adulto, sono esigente perché anche se inizialmente non è facile
da capire, è meglio essere “arrabbiati” con me da piccoli che diventare grandi
e trovarsi poi in un mondo che non si è in grado di gestire.

‘ lo racchiudo generalmente in tre parole:

qualcosa sul min un mondo i

La mia è una grande responsabilità e cerco di dare sempre il massimo per
spingere i miei ragazzi a sfruttare al massimo le loro potenzialità. attivamente alle varie attività di vita
quotidiana.

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